le similitudini sono come metafore

Ciao, dedaliano.
Oggi parliamo di figure retoriche. Non farti ingannare dall’aggettivo, come vedremo chi sa usarle bene non è affatto noioso, anzi. Le figure retoriche sono uno dei modi più usati per dare corpo allo scheletro del testo. Purtroppo, però, la scuola, per una sorta di ossessione definitoria, ci ha allontanato dal cercarle nel testo letterario. Ma ti dimostrerò che per chi scrive di professione, come pure per chi sta appena iniziando, sono uno strumento irrinunciabile e una risorsa inesauribile.

scrivere bene la retorica

La retorica è pane per i nostri denti

Per prima cosa dovrai liberarti dell’idea che usarle spetta solo a chi è uno scrittore affermato o peggio servano solo a chi vuole abbellire il testo rendendolo artificioso e stucchevole. In realtà proprio chi non sa usarle o lo fa impropriamente spesso finisce per annoiare: perciò, attenzione!

Secondo, riduciamo all’osso sterili definizioni. In letteratura le figure retoriche sono classificate in molti modi; se ti interessa questo aspetto “Prima lezione di retorica” della Garavelli può fare al caso tuo. Ma ovviamente per noi non è questo il punto.

Usare una figura retorica significa semplicemente allontanarsi dal normale uso linguistico delle parole, l’essenza stessa della scrittura creativa. Se le guardi in questa prospettiva, le figure retoriche contribuiscono all’originalità e ci permettono di incuriosire e affascinare il lettore. A essere retorico in queste espressioni non è l’essere trite e ritrite, ma il fatto di condividere uno stesso procedimento di formazione. Per questo anche se il procedimento è comune, appunto retorico, le possibilità di crearne di nuove sono infinite.

Segno infinito, figure retoriche

Una classificazione pratica con esempi

Per rendere più facile riconoscere le figure retoriche, le suddividiamo in base alla dimensione della lingua interessata dalla variazione rispetto all’uso comune o proprio di una parola. In questo modo possiamo distinguere, semplificando, figure retoriche che riguardano:

  • la forma delle parole;
  • il significato delle parole.

Figure retoriche di parola

Quando le usiamo possiamo ottenere effetti ritmici e di senso ed hanno in comune spesso il tratto della ripetizione. Anche se per le crociate di molti insegnanti ce ne teniamo alla larga come una specie di fobia, sono usate sia in poesia sia in prosa e ne distinguiamo fino a 17. Eccone tre molto comuni:

Anafora

Consiste nella ripresa di una o più parole all’inizio di un segmento di testo. Ne abbiamo tutti in mente qualche esempio dalla poesia o da qualche invocazione religiosa.

Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore…”

Uno dei possibili effetti che si ottengono è un forte pathos o focalizzazione su di una parte di testo.

Epifora

In questo caso la parola ripetuta è, al contrario, alla fine di una porzione di testo. E quale esempio più calzante di E. A. Poe?

“Disse il corvo: «Mai, mai più!»”

Climax

Per ricordare la funzione basta pensare alla parola scala (significato in greco della parola). Infatti, con questa figura retorica si ottiene una crescita di intensità, accostando espressioni con un senso più pregnante di solito con una in gruppi di tre. Vediamo un esempio d’autore:

“Mutare il rione, Napoli, l’Italia in un campo di battaglia, in un Vietnam in mezzo al Mediterraneo?” [E. Ferrante, Storia di chi fugge e di chi resta]

Il climax retorico è diverso da quello narrativo che ci ha spiegato Ilaria nell’articolo sulle tecniche di incipit.

Figure retoriche di significato

Le distinguiamo dalle precedenti perché qui ci muoviamo nel campo degli spostamenti di significato. Gli usi traslati di una parola sono tanto frequenti che a volte ce ne scordiamo. E a volte se ne scordano proprio tutti! Forse non molti sanno che una parola come testa per i latini allora indicava comunemente un vaso di terracotta. Per qualche motivo la parola si è diffusa con un uso un po’ spiritoso di far notare a qualcuno di esser un tantino rigido. E a quanto pare dopo un po’ l’espressione è diventata tanto comune che il suo significato originario si è perso.
Ma bando alle ciance, eccone un paio succose.

La Metafora

Lo spostamento dal significato d’origine è più evidente ed è forse la più conosciuta e celebrata delle figure retoriche. Un esempio non certo originale, ma che tutti conosciamo::

“Se fai così, mi tarpi le ali.”

L’uso comune in questo caso è metaforico. Quando usiamo questa espressione intendiamo dire limitare qualcuno. Il significato metaforico si è imposto su quello originario di “tagliare le punte delle ali”. Concettualmente, tuttavia, le due idee sono connesse. Immaginiamo bene come un uccello che perda le ali perda anche la libertà. In generale, tanto più ampio è lo scarto tra l’uso originale e quello traslato, tanto più forte sarà l’intensità dell’immagine evocata. Ma occhio a non esagerare e ad assicurarci che il lettore ci segua!

La Sinestesia

È riconoscibile perché accosta parole che comunemente si riferiscono a sensi differenti. La parola di origine greca significa appunto percepire allo stesso tempo. Alcune sinestesie sono tanto riuscite che le usiamo quasi senza accorgercene:

“Una voce chiara“; “Un conto salato”; “Una giornata nera“; “Ridere di gusto“.

La sinestesia è così evocativa che per Proust il “gusto” della madeleine è divento l’incipit per dar vita ad un intero romanzo, Alla ricerca del tempo perduto.

Per finire

Se l’articolo ti è piaciuto e stai pensando a come aggiungere un pizzico di retorica al tuo testo, siamo proprio qui per questo. Scrivici a [email protected].
Ti aspettiamo all’altro capo del Filo, dedaliano!

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